“Te lo meriti Alberto Sordi!” – Anni ’70, la vitalità della Commedia Italiana l’ultima volta che l’Italia c’era ancora.

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a seconda metà degli anni settanta in Italia, non fu solo la più difficile per il paese già stremato dalla strategia della tensione cominciata dopo il ’68, fu anche per il cinema nostrano, l’epilogo della commedia all’italiana come “volgarmente” veniva appellata dai media.

Erano cambiati i tempi, la società e gli italiani stessi, le sceneggiature cominciavano (purtroppo) a contare poco. Se proprio si doveva ridere in maniera facile (se non sguaiata), era nata la commedia sexy. Che grazie a qualche nudo delle primi attrici, si garantiva una fetta di pubblico di poche pretese. Quella stessa “platea” del resto, che non aveva afferrato un decennio prima, le sfumature di capolavori come “I mostri”, “Il sorpasso” e “Una vita difficile”.

Allo stesso tempo, i creatori del genere erano invecchiati (gli interpreti) e imputtaniti (i registi e i medesimi interpreti). Così le “commedie” con grandi budget, spesso totalmente prive di qualità, che continuavano a generare, non facevano ridere più nessuno.

In questa coda, che sarebbe diventata epocale, ci fu il tempo di ricevere in dono, solo qualche ultima perla: “Fantozzi” del 1974, diretto da Luciano Salce e sceneggiato da Benvenuti e De Bernardi, e “Febbre da cavallo” del 1976, diretto da Steno e sceneggiato da Alfredo Giannetti e dal figlio del regista Enrico Vanzina.

Il primo fu interamente frutto della genialità di Paolo Villaggio, che l’aveva creato sulle pagine dell’Europeo e successivamente fatto diventare un best seller da un milione di copie.

Venduto e tradotto in paesi come Russia e Francia, con apprezzamenti di critica e pubblico a dir poco lusinghieri (Evtushenko addirittura, accostò il comico ligure a Gogol), a seguito dei quali decise di interpretarlo (solo dopo il rifiuto di Renato Pozzetto prima, e di Ugo Tognazzi poi), consacrandolo.

Il secondo, fu riscoperto soltanto quindici anni più tardi da un pubblico di un’altra era che cominciò a guardarlo in salotto (caso perlopiù unico nella storia del genere) nonostante sfoggiasse la migliore prova cinematografica di Gigi Proietti e Enrico Montesano. Accompagnata da un cast di tutto rispetto, comprendente tra gli altri, Mario Carotenuto, Adolfo Celi e Catherine Spaak.

Dunque, due opere che senza neanche prevederlo (almeno in partenza), divennero veri e propri film di culto (oggi più di ieri). Restando nell’immaginario (collettivo, ovvio) quali ultime storie corali di un paese che pian piano sarebbe scomparso. O quantomeno mutato.

Manca qualcosa? Si. “Amici miei” di Mario Monicelli. Il film al quale va lo scettro di spartiacque della commedia italiana e all’italiana. Ultimo a rappresentarla, come già sostenuto da tanti più bravi di me.

Sono passati solo quarant’anni dalla sua uscita. Era il 10 agosto del ’75, ma non ditelo in giro: è un segreto per intenditori. Per gente che si vuole bene e che vuol bene alla vita. 

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