La vita di Adele

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 “Io sto tra due mondi, di cui nessuno è il mio, e per questo la mia vita è un po’ difficile”

La vita di Adele
(di Abdellatif Kechiche, Fra/Bel/Spa 2013)
***

S

e capitate in libreria qualche volta, cercate “Tonio Kroger” di Thomas Mann.
Leggendolo ci troverete queste parole.

E’ un libro piccino, l’ho letto tanti anni fa (pensate pure chissenefrega, ci sta tutto) giusto il tempo d’aspettare la ragazza uscire da scuola. Pioveva a sprazzi, sottile, sembra ieri. Pare oggi.

Parla di un adolescente “diverso”, artisticamente dotato, incapace di prendersi il buono dell’esistenza semplice e giornaliera, col criterio delle persone “normali”.

Il regista tunisino Kechiche, oltre a ispirarsi al fumetto di Julie Maroh (1), per realizzare questo film vincitore della Palma d’oro numero sessantasei a Cannes, avrebbe potuto tranquillamente dare una scorsa a questo romanzo dei primi del novecento.

Al netto dei capelli colorati e di qualche altra moda che cambia, per chi cresce, la vita non è facile. Mai

Così per Adele, la protagonista del titolo. Ultimo anno di liceo, con in testa l’idea di insegnare ai bimbi della materna, e un disagio interiore col quale convivere.

Perché essere giovani è entrare in una stanza d’albergo trovata senza che sia passato il personale di servizio a rassettare. E’ tutto sottosopra in un mondo già vissuto, ti devi adattare.

Mettici pure che i tuoi coetanei sanno essere crudeli, a quell’età la comprensione si taglia col coltello. Il malessere misto a confusione diventa inevitabile.

Coi maschi, inoltre, non va bene. Ci provi pure, però c’è qualcosa in loro che non ti piace, proprio non ti prende.

Poi finalmente incontri una persona. Ti fa battere il cuore, forse è la prima volta. E’ molto più grande di te, è decisa. Cominci a conoscere, a capire quanto possa essere intensa una relazione.

E anche difficile. Se la persona è Emma, una donna pure lei. Un’intellettuale piena di amici coi quali ha tante cose in comune, mentre a te importa poco delle loro cause. A te interessa amare, assaporare, fare cose pratiche, l’amore fisico ovviamente. Quotidianità.

Come la pasta alla bolognese, almeno così la chiami tu. La sa cucinare papà. Niente sofismi, vuoi vivere. La cosa più difficile in questo mondo dove manca sempre un pezzo.

Mica è un caso ti piacciano i bambini più piccoli? Certo, il confronto dei corpi nudi sul letto annulla le differenze d’ambiente (quanta pruderie dei media per un amore lesbico), ma dopo aver fatto l’amore le due culture diverse riaffiorano.

Riaffiora l’impossibilità di essere normale, per una società che non capisce, non capirà. Il sesso consola, ma un secondo dopo che è finito ci vuole altro a dargli senso, altrimenti non vale nulla. Ti sei solo masturbato dentro qualcuno.

Forse ci salverà l’amore.  “Non è eterno ma ci rende eterni” . Sta scritto nelle strisce che arrivano da Lens.(2) A patto di non mendicare sentimenti. Le parole della canzone di Likke Li  del soundtrack sono struggenti quanto illusorie. Nessuno implora nessuno.

Quando non c’è verso, meglio lasciare andare chi non ti vuole. Specie se non soffre nel perderti, neppure quando lo vede che stai male. Anzi, fai come dice un tuo conterraneo adesso che è diventato vecchio: “Prendi il treno che passa senza sapere dove scenderai”. (3)

Fidati, i treni somigliano alla vita. Passano e non aspettano.

 

 

(1) Due sfumature di blu. Emma e Clémentine, l’amore contro i pregiudizi di Elena Stancanelli

(2) Il blu è un colore caldo, Julie Maroh – Storie ad altovolume

(3) Leroy, una vita da Yanez confessioni di un avventuriero di Silvia Fumarola | 6 Ottobre 2012 – La Repubblica

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