“Avrei saputo che almeno in un caso la ruota si era fermata, che in quel precipitare irresistibile, una sola volta, il caso e la fortuna avevano cambiato qualcosa. Una volta. In fondo credo questo mi sarebbe bastato: il mio cuore avrebbe fatto il resto.”
V
incent Crochon è nato le ultime settimane di un novembre lontano oltre cinque decenni fa.Ha una discreta somiglianza col papà, Jean-Pierre, interprete per Chabrol, Renoir, Melville, Renè Clair. Ma anche per Sidney Lumet e Luis Bunuel.
Due i titoli entrati nell’immaginario (rispettivamente):“Assassinio sull’Orient Express” e “Il fascino discreto della borghesia”.
“Rubargli” l’eleganza e il (cog)nome d’arte, deve essere stato inconsapevole, automatico. Assimilare lo stesso sguardo chiaro di chi pare essersi appena svegliato, pure. Con le idee nitide. In fondo, “ha scelto di essere un cattivo perché lui sullo schermo era sempre il ”nice guy””, il bravo ragazzo. (1)
Inoltre, come dice Albert Camus, attraverso le meravigliose parole che ho indegnamente mediato quale incipit, ha un cuore che sta facendo il resto. Pure la faccia da straniero del libro in questione. (2)
Probabilmente, è l’attore francese (contemporaneo) più intenso e maturo. In questo momento. Adesso, qui. Indossa una maschera dalla quale non si fa possedere. Carnale, sanguigno, distaccato, algido. Spiega l’ossimoro di un latino nato Oltralpe.
Una volta quelli con la faccia aguzza così li avrebbero chiamati “villain”. Nell’etimologia c’è la parte canagliesca che si insidia in ognuno di noi. Simpatici, cialtroni, poco di buono ai quali perdoni molto.
Protagonisti all’occorrenza, ma antieroi. Devono molto a gente come Vittorio Gassman che scavalcò Shakespeare, il teatro nobile, per sfruculiare nelle risaie Silvana Mangano facendo incazzare Raf Vallone. Lui si, bravo ragazzo. (3)
Salvo, poi, alle soglie dei quarant’anni, diventare uno dei “Soliti Ignoti” e mettersi alla guida di una Lancia Aurelia con Trintignant. Inventandosi buono per la commedia (all’italiana, ça va sans dire)
Certo, serve anche le phisique du rôle. Lasciando che la sfumatura faccia il resto. Con la testa. Con la mente.
Sergio Bonelli negli anni ’70 creò Jerry Drake. Un fumetto ambientato a Manaus, in Amazzonia. Lo chiamò Mister No. Personaggio dal quale compri un pezzo di compromesso. Mai il culo.
Sabine Litique, la madre, è una giornalista. Quando Vincent aveva 14 anni, andò a comprare le sigarette e sparì. (4)
Non parlategli di famiglia nell’accezione canonica, quindi. O peggio, ipocrita. Ha un padrino artistico di smisurato spessore, Gerard Depardieu, e una sorella di secondo letto, Cecile. Lei ha lavorato per Eric Rohmer e fatto qualche brutto film italiano.
Poco più di vent’anni fa, “L’odio” (“La haine”) fu uno squarcio. Kassovitz è un brutto arnese se hai tutto apparecchiato nel tuo ordine preconcetto. Ci vinse il premio per la miglior regia a Cannes. Il sodalizio divenne inevitabile, pur senza ripetersi a quel livello.
Audiard continuò su quelle corde. La grinta da galeotto, una tentazione troppo ghiotta da abbinare alle incertezze di Emmanuelle Devos. Assieme ai divertissement di Carmine Amoroso, Luc Besson, Steven Soderbergh. O alle storie cupe di Gaspar Noè (con la compagna dell’epoca, Monica Bellucci) e Jez Butterworth (con la Kidman).
Circa dieci anni fa, la soglia di attenzione salì di colpo. A modo suo una svolta. Cominciarono lungometraggi di profondità maggiore. Cronenberg lo incolla a Viggo Mortensen ne “La promessa dell’assassino”. C’è anche Naomi Watts, ma è un dettaglio. Quelli che si nascondono nel demonio, sosteneva Hegel.
Altro giro di lancetta e arriva Mesrine. Nemico pubblico e Robin Hood di un’epoca tanto vicina quanto ormai lontana. Richet glielo cuce addosso. E’ un’incetta di premi Cesar.
“Il cigno nero” di Aronofosky “tocca” persino l’Oscar. Almeno quanto Thomas Leroy la Portman.
Tralasciando padri cappuccini, satiri, maggiori sovietici, personaggi favolistici, e il re di Matteo Garrone (che almeno adatta Giambattista Basile), si arriva a “Mon Roi”. E alla faccia da schiaffi che fa soffrire Emmanuelle Bercot per conto di Maïwenn Le Besco.
Solo le donne riescono a disegnare le loro vittime, idealizzandole al rango di carnefici.
C’è il tempo da dedicare alla “fiaba ambigua” (copyright di Goffredo Fofi) (5) dell’esordio di Ariel Kleiman e alla gabbia nella quale è chiuso il fratello dello sfortunato Gaspard Ulliel, per l’enfant prodige (lo so, sto esagerando coi francesismi) Xavier Dolan.
Il Brasile di Selton Mello (“O film da minha vida”) e Carlos Diegues (“O grande circo mistico”) non è un pretesto che i maliziosi legano al sentimento per la bellissima Tina Kunakey, che a breve sposerà.
“Alle anime gemelle non gliene frega un cazzo. Talvolta capita che per via della differenza d’età, o di estrazione sociale, uno decida di non provarci neanche, perché ha paura di soffrire. Io invece penso che sia meglio amare e soffrire che scegliere di non amare.” (6)
Nell’intervista a Marco Consoli pubblicata su una rivista di moda (non le sottovalutate mai troppo), sceglie quasi tra il dolore e il nulla, richiamando qualcosa di più grande rispetto a tutti noi (Jean Seberg, dovunque tu sia, prega per noi).
Alle porte c’è Érick Zonca con “Fleuve noir”. Come c’è stato addirittura Gauguin. Magari anticipato dal colorato (e sopra le righe) “Le monde est à toi”.
Probabilmente continuerà a non ricevere riconoscimenti e onorificenze. Basterà la carriera di attore e di uomo. Che prosegue nel pieno della maturità.
Allo spettatore non resta che sedersi in poltrona. Immedesimarsi, se crede. L’esistenza va presa senza forzarla. I destini si contrastano. Il bene, la simpatia, si accetta come nasce.
Citando uno stralcio di letteratura disegnata, prima, menzionavo l’Amazzonia. La foresta sudamericana ubicata in gran parte nella nazione che Cassel ha scelto di ritagliarsi.
Jorge Amado, poeta di quella terra, una volta ha scritto un libro intriso di Sertão (deserto) e analessi (che oggi volgarmente chiamano flashback).
Una frase diceva pressappoco: “perché il voler bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede.” (7)
Però questo attore con la faccia da stronzo è pur sempre francese. E’ uno che il prossimo film che farà lo devi aspettare nella sua lingua. Comunque vada.
E se ci sarà sofferenza, un sorriso ironico sulle labbra non mancherà.
E’ successo per Philippe Leroy, Robert Hossein, Michel Piccoli, Jean-Pierre Leaud, Philippe Noiret, Daniel Auteuil, Depardieu (di cui sopra). Risuccederà (forse) con Louis Garrel, Duris e Ulliel (di cui sopra).
Ah, poi è successo soprattutto con Jean-Paul Belmondo.
Brel, per randagi e zingari con le radici in tasca, la sussurrava semplice:
“Anelare a un sogno irrealizzabile, recare dolore nelle partenze,
bruciare di una febbre possibile, andare dove nessuno va.”
(1) “Cassel va alla guerra” di Cristina Allievi | La Repubblica 3 Dicembre 2016
(2) “Lo straniero” (L’Étranger) di Albert Camus (1942) Gallimard
(3) “Riso Amaro” (1949) di Giuseppe De Santis
(4) “Parla Jean-Pierre Cassel – Adkronos | 26 Aprile 2006
(5) “Partisan, una fiaba ambigua” di Goffredo Fofi | Internazionale 2 Settembre 2015
(6) “L’amore ha sempre 20 anni” di Marco Consoli | Gioia 4 Agosto 2018
(7) “Teresa Batista stanca di guerra” (Teresa Batista cansada da guerra, 1972), Einaudi