“Non sei solo, gli disse.
È che ti senti solo.
Sentirsi soli è esserlo.
Ecco cos’è.”
J
onathan Safran Foer alla fine del romanzo autobiografico d’esordio (trasposto al Cinema con gli occhi spalancati di Elijah Wood) si porta a casa una scatola di ricordi chiamata “casomai”. (1) (2)Il protagonista teme che l’Universo continui senza di lui, la sua assenza passi inosservata. “Indossa” una solitudine di ritorno. Che non è timore della morte fine a se stesso.
Del resto, il titolo del libro e del film (“Ogni cosa e’ illuminata”) riprende un passo de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera.
Spensieratezza di essere, dunque.
Calvino nelle “Lezioni Americane” lo citò a mo’ d’esempio narrativo che, nascondendosi dietro un discorso sulla leggerezza, ha come vera essenza una constatazione della “ineluttabile pesantezza del vivere”. (4)
Jack Nicholson alla Schneider, invece, nemmeno chiede il nome in “Professione reporter”. S’e’ stancato di dare senso alla vita. A un certo punto (sarà il traffico d’armi) richiama persino lo stremato Alberto Sordi di “Finchè c’è guerra c’è speranza”. (5)
Moravia quando per L’Espresso recensì il capolavoro di Antonioni, scrisse che la storia riconduceva inevitabilmente al “Fu Mattia Pascal”.
“Pirandello voleva dimostrare, in maniera sarcastica e paradossale, l’identità quale mero fatto sociale: esistiamo in quanto gli altri riconoscono la nostra esistenza;
Mentre il Regista, al contrario, la poneva in modo consapevolmente drastico: “esistiamo, sia pure come grumo di dolore, anche e soprattutto fuori della società.
Locke si suicida due volte, una prima volta distruggendo la propria identità civile, come il personaggio pirandelliano; una seconda volta lasciando che i killer distruggano la sua identità fisica”.
“Perché Locke si uccide? Probabilmente per il motivo per cui tanti oggi lo fanno: per l’impossibilità di conferire alla propria esistenza un valore simbolico, ossia un significato che in qualche modo la trascenda”. (6)
“Oggi” per lo Scrittore romano e il Cineasta ferrarese era il 1975.
L’orologio, poi, ha continuato a girare le lancette nel quadrante. Ma l’idiosincrasia per la pelle che abitiamo ha soltanto spostato il tiro.
I giorni rimasti da vivere, la qualità dei momenti in essi contenuti, continua a generare l’ansia di esistere. Dello stare al mondo.
“Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata. Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: “Da dove vengo?” “Dove vado?” “Quanto mi resta ancora?”.
“Blade Runner” di Ridley Scott nei primi ’80 recupera un noir fantascientifico del ’68. Dopo e prima. Il Futuro che arriva dal Passato. Irreversibilmente. (7) (8)
Ha ragione il definitivo Michele Apicella di sempre.
“Noi siamo uguali agli altri, noi siamo come tutti gli altri, noi siamo diversi”. (9)
Perche siamo soli. Canta(va) una canzone epocale.
“Disperatamente cerchiamo Un campo di atterraggio in noi. Altra gente in me, in te. Caduti dentro altre immagini. Al primo freddo anche un niente caldo diventa qualcosa. Improvvisamente confusi, sospesi”. (10)
Il long playing del brano è “Io tu noi tutti”. Senza virgola alcuna.
Allora, la distopia immaginata da Lanthimos in “The Lobster”, pochi anni fa appena, suggerisce conformazioni sparse. Accecarsi contemporaneamente risolverebbe le incomprensioni, ogni sorta di equivoco. (11)
Senza fare calcoli, speculazioni. Fuggendo la paura di consumarsi. Le protezioni somigliano a una gabbia.
Bob e Charlotte in “Lost in translation” guardano in tv, coi sottotitoli giapponesi, “La dolce vita” di Fellini.
Nel finale della versione originale non si riesce a udire cosa si dicano. Sofia Coppola sostiene addirittura la mancanza di un copione al riguardo.
Bill Murray e la Johansson unici a sapere cosa sia stato sussurrato. (12)
Ricordano gli ultimi fotogrammi con la Ciangottini sulla spiaggia di Passoscuro. A mimare una macchina da scrivere, una trattoria e qualche sguardo innocente. (13)
Mastroianni stranito non sente. Forse perde un’occasione.
E noi con lui.
- Questo articolo è stato pubblicato sul Magazine “Orione”, Rivista di approfondimento culturale della Fondazione Sinapsi (Numero 26, Settembre-Dicembre 2022)
(1) “Ogni cosa è illuminata” (Guanda, 2002) – Jonathan Safran Foer
(2) “Ogni cosa è illuminata” (2005) – Liev Schreiber
(3) “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (Adelphi, 1984) – Milan Kundera
(4) “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio” (Mondadori, 1988) – Italo Calvino
(5) “Finché c’è guerra c’è speranza” (1974) – Alberto Sordi
(6) “Professione reporter” (“L’Espresso”, 9/3/1975) – Alberto Moravia
(7) “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (Fanucci, 1968) – Philip K. Dick
(8) “Blade Runner” (1982) – Ridley Scott
(9) “Palombella rossa” (1989) – Nanni Moretti
(10) “Soli” – (“Io tu noi tutti“, 1977) – Lucio Battisti
(11) “The lobster” (2015) – Yorgos Lanthimos
(12) “Lost in translation” (2003) – Sofia Coppola
(13) “La dolce vita” (1960) – Federico Fellini