La ragazza sul ponte

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“E lei che l’ha ripescata?” – “Era cosi buio! Vai a sapere se non ci siamo ripescati a vicenda…”

La ragazza sul ponte
(di Patrice Leconte, Fra 1998)
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A

lice prima di salutare il Cappellaio Matto, sussurra che sentirà la sua mancanza al risveglio. E’ stato solo un sogno. A chiedergli perché un corvo assomigli a una scrivania, Hatter risponde di non averne la minima idea.

Una storia d’amore è anche fantasia, ripensamento, controsenso. Almeno certe volte. Oppure, come si dice a Napoli, è quello che ti metti in testa.

Il lanciatore di coltelli, Gabor, glissa guascone. Ha appena salvato dalle acque della Senna la malinconica Adele, in questa fiaba nera, onirica, imperfetta, affascinante. Sceneggiata da Serge Frydman, e diretta da Patrice Leconte, regista di mestiere che con questo lungometraggio realizza la sua opera più celebre.

L’amore, quello della vita reale, può essere l’incontro di due disperazioni?

Parrebbe di si. Specialmente se ci si paragona ad una banconota strappata che non vale nulla senza l’altro pezzo. Quando tutto sembra da buttare, bisogna fidarsi, non c’è alternativa. “Non si può sempre aspettare che succeda qualcosa”.

E magari a quel punto, prendere finalmente tutto il coraggio di cui si dispone per dire alle persone che incrociano il nostro passaggio: “scusami, non sei tu quello che cerco”.

A patto di scrutarsi dentro però. Provando a capirci qualcosa. Cosa si vuole da sé e dall’altro. Non importa se si gioca in maniera spaccona con le parole e coi numeri.

C’è un momento della storia molto poetico in cui passano le delicate note dell’Auciello Grifone, un canto tradizionale che parla di tradimenti che feriscono al pari dei pugnali e dei sentimenti. La macchina impantanata in un fosso (metafora sulla metafora) e le parole del pezzo a sfumare così: “tieneme astritto e nun me lassà…”.

Perché in una coppia nessuno può essere Pigmalione dell’altro.

Se qualcuno dei due prova ad assumere “l’aria da professore del cazzo”, conta poco. Quando si sta insieme si è tutto e il suo contrario. Belli, ridicoli, felici, stupidi, invidiati. Buffi, insofferenti, fortunati, incoscienti.

Patetici vagabondi, coppia di Charlot che divide e insegue i propri errori.

Assodato questo, come ci fanno intendere i due protagonisti (Vanessa Paradis e Daniel Auteuil al loro meglio), saremo forse liberi di forzare con battute che per altri sarebbero grevi. Tanto ci distinguerà la grazia. Potremo mantenere le distanze dandoci del lei, senza sminuire di un capello l’intensità dei nostri sentimenti. Solo i fatti alla fine avranno valore.

Del resto, in uno dei finti addii contenuti in questo film, c’è una scena che ci seguirà piu delle sofisticate immagini in bianco e nero di Parigi, dell’Italia e di Istanbul in esso contenute. Si tratta di una dichiarazione di intenti che ci accompagnerà.

Lei: “Come facciamo, ci stringiamo la mano, ci baciamo?” – Lui: “Ci dimentichiamo.” – Lei: “Non le prometto niente”.

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