Le Belve

by

“La morte non conta un cazzo
quando ti serve un posto per dormire.”

Le belve
(di Oliver Stone, USA 2013)
**

B

ukowski, quando serve, c’è sempre. Lui si che avrebbe potuto farlo uno script per un film a stelle e strisce. Ha sempre ragione.

Perché l’America è contraddittoria, giovane, vecchia, innovatrice, conservatrice, eterogenea. Razze e tradizioni più o meno integrate. E’ coraggiosa, libera, paurosa, chiusa.

Del resto per capirla, l’America, basta l’assunto (sarebbe piaciuto pure al vecchio Hank) che Chon fa a Ben prima del finale, quando i due protagonisti vanno a fare la partita a scacchi col destino:

“Entra in quest’ottica, va bene? Tu sei già morto nel momento in cui sei nato. Se accetti questo, beh, puoi accettare tutto”.

Oliver Stone non è un ragazzino. Ha sceneggiato “Fuga di mezzanotte” e “Scarface”. Ha diretto “Platoon” e “Nato il 4 Luglio”. Sa cosa significhi rappresentare vite al massimo. Conosce sulla pelle persino la dipendenza dalla droga.

E in quest’ultima fatica, c’è anche la personale critica (nemmeno velata) alle forze dell’ordine e alle amministrazioni del suo paese. Quelle che anziché debellare il problema del traffico illegale di stupefacenti, lo spostano al confine col Messico.

Ipocrisia yankee, dunque. Per un newyorkese come lui, proprio non può starci, anche se continua a esserci dai tempi in cui cominciò a scrivere. Non è un caso nemmeno che a questo giro abbia deciso di adattare con Shane Salerno, il romanzo dell’autore poliziesco americano (contemporaneo) per eccellenza, Don Winslow.

Poi certo, oltre al mestiere, ci stanno belle facce. Taylor Kitsch, Aaron Johnson e Blake Lively. E c’è Benicio Del Toro. Non ha pietà per nessuno (è lui la belva), mentre Salma Hayek e John Travolta sono disillusione fatta persona.

Magari, qualcosa non torna. Ad esempio la voce fuori campo di Ofelia un filo ridondante (la chiamano off, mica così?). Oppure il finale doppio (o immaginario) a distorcere il climax creatosi mollica dopo mollica.

Però, come dice Marianna Cappi di MYmovies , “Stone ritrae personaggi invischiati in qualcosa più grande di loro, il coraggio, che all’inizio è provocazione, incoscienza, a un certo punto diventa materia di vita o di morte e il film diventa una strada da percorrere fino in fondo, piena di svolte imprevedibili, dissestata quanto basta per tenere alta l’adrenalina”. °

L’adrenalina, già. Puoi vivere senza? E dopo che hai fatto il tuo bel giro sulle montagne russe, vuoi mettere il gusto di sfottere il conformismo del posto in cui sei nato?

In fondo, non c’è bisogno neppure di andarci negli Stati Uniti per capirla l’America. Puoi amarla, detestarla, ma non ti potrà lasciare indifferente. Mai.

Come il suo cinema: dirompente, intimista, ironico, eccessivo, indipendente, eppure sempre profondamente americano. Una sola identità che prescinde dallo Stato dei cinquanta e passa in cui ci trovi ambientata la sua storia.

E “se c’è qualcosa che non va nella tua storia d’amore, se vedono che sei debole e dovrai uccidere prima o poi”, mantieni la calma.

Come ha detto una volta un filosofo rumeno affetto dalla tentazione di esistere, è tutto sotto controllo.

“Il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere – la sola, del resto.”

 

 

° Pur con qualche eccesso di maniera e ambiguità, il film è uno spettacolo forte e adrenalinico – Marianna Cappi

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