Julieta

by

 “Non capirsi è terribile, non capirsi e abbracciarsi, ma benché sembri strano, è altrettanto terribile capirsi totalmente.”

 Julieta
(di Pedro Almodovar, Spa 2016)
**

C

hissà se basta uno stralcio di poesia russa per spiegarsi quanto la vita possa essere puttana. (1) 

Coi suoi rimpianti. E peggio ancora coi suoi rimorsi. Che diventano sensi di colpa.

Il cinema d’autore permette di pensare. Quando esci dalla sala in cui lo hai visto, continua dentro di te. Ti dà  spunto. Fa rimuginare su quello che hai capito e non hai capito. Sulla storia che hai appena guardato, e su te stesso. Il cinema d’autore è la vita.

Non fa eccezione questo ventesimo film di Pedro Almodovar sulle donne e con le donne. “Solo il caso può essere più forte di loro”. Meglio attrezzate “nel combattere e gestire quello che, nel bene e nel male, offre la vita stessa”. (2)

Anche dentro questo racconto ispirato a una raccolta di Alice Munro (3), che in origine vedeva  Meryl Streep protagonista e poteva intitolarsi “Silenzio”.

Silenzio sottile. Avvolge l’amore delle persone che si vogliono bene. Perché “quando ci sei dentro, di certe cose non te ne accorgi”. Un mancarsi senza appartenersi.

Le assenze riempiono e distruggono, scrive Julieta nella lettera mai consegnata ad Antía. Ci sono vuoti colmi, ossimori che pesano oltre qualsiasi presenza. Si cambia per non morire, direbbe una canzone. Qualcosa ti devi inventare.

Un quaderno bianco per far scorrere gli anni a ritroso, un asciugamano per farli andare avanti. Il rosso e l’azzurro, il Portogallo che aspetterà.

Il mosaico di una foto che ricorda l’ultimo Doinel di Truffaut, un ruolo interpretato in tandem senza troppe spiegazioni pensando all’ultimo Bunuel.

“L’amore” di Marguerite Duras, tra un trasloco e l’altro (i libri non si ricomprano), non esce in mezzo per caso. Parla di incomunicabilità, acqua salata, ritorni divenuti assenza, richiami e frammenti di vissuto. Di storie perse nel tempo.

Solo così ti spieghi Madrid, La Mancha e la Galizia. Mele da mangiare osservando ragazzi giocare a basket. Piccoli pescherecci che qui chiamano gamela. La Spagna ruvida e dolce come la sua lingua.

In fondo, due sono i modi di sentire il mare, i tuoi alunni lo sanno.

Talassa è femmina, accogliente e rassicurante. Ponto è maschio, l’avventura, il mistero. Per i greci erano fratelli, per te la cartina di tornasole della tua esistenza. Nessuna mezza misura e nemmeno l’eterna giovinezza offerta a Ulisse.

L’uomo che ha raccolto i tuoi cocci ignora che la notte del treno non va via dalla testa. Le cose sono successe senza avervi preso parte mentre “l’una anticipava l’altra”.

E allo spettatore distratto è inutile spiegare il melò alla Douglas Sirk, la suspense apparentemente telefonata in stile Hitchcock/Patricia Highsmith o la scrittura tutta narrazione seguita da forti caratterizzazioni (Rossy De Palma andrebbe clonata). La neve, la pioggia, le valigie vuote, sono metafora sulla metafora, a patto di aprire orecchie, occhi e cuore.

Forse “nessuno si suicida perchè una bella ragazza non ti vuole parlare”. Sempre che i tatuaggi con le iniziali di chi ami non diventino cenere sugli scogli.

E se le colpe si trasmetteranno, le figlie saranno madri, le reti da pesca un ricordo da portare con sé. La carta da parati una memoria da non strappare, i Pirenei dei monti buoni solo a scoprire quanto poco sapessi degli altri.

Ci sarà tempo ancora. Una frittata che non mangerai, torte di compleanno buttate nell’immondizia, e giorni in cui non penserai. Per scappare via da chi scappa. Del resto, i saluti non ti sono mai piaciuti.

Adriana Ugarte non sarà Kim Basinger, ma è bella così, negli anni ’80 colorati come i suoi maglioni. Emma Suarez interpreta il dolore che davvero sente, Alberto Iglesias con puntuale dovizia si occupa della colonna sonora.

Soundtrack col lusso di una sola eccezione. “Si no te vas” di Chavela Vargas. Lì a impregnare la scena di saudade da idioma ispanico. A mordere l’anima senza pietà, senza pietismo.

E’ inutile farsi gli sconti da soli. Lo diceva pure un poeta di questa terra. 

“Se così triste è la notte, è triste per colpa mia”.

 

 

 

(1) “Non capirsi è terribile” di Evgenij Evtušenko

(2) “Torno beato tra le donne” di Gloria Satta

(3) “In fuga” di Alice Munro, Einaudi

 

No Comments Yet.

What do you think?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *