“E dei sentimenti non è così facile liberarsi come delle idee: queste vanno e vengono, ma i sentimenti rimangono.”
Café Society
(di Woody Allen, USA 2016)
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A
lberto Moravia è uno di quelli che col regista di questo film, si sarebbe preso assai bene. Ne sono sicuro.Se capita, cercate “La noia” dello scrittore romano. Apprezzerete quanto quel romanzo sia speculare a questa storia ambientata negli anni ’30 tra New York e Los Angeles.
Perchè come sosteneva un sudamericano baffuto, “il cuore può avere più stanze di un bordello”. La vita poi fa il resto, facendo economia di scene, creando i presupposti per la commedia che attraversiamo tutti i giorni.
Il regista di questo film che richiamavo poc’anzi, non è soltanto un decano, autore di capolavori epocali, conosciuto anche da coloro che non hanno mai visto per intero una sua opera.
E’ un uomo dannatamente sottile che invecchiando ha saputo maneggiare col bilancino del farmacista, cinismo e sensibilità, satira e sarcasmo.
E’ Woody Allen.
A ottanta anni compiuti il mese scorso, è l’unico a potersi permettere un lungometraggio all’anno, apparentemente leggero come “I didn’t know what time it was” di Benny Goodman, che introduce la sua voce (in originale).
“Non sapevo che ora fosse, allora ti ho incontrato” dice il testo. Parole cantate qualche decennio dopo anche dalla grande Billie Holiday. I maestri non lasciano nulla al caso.
E Bobby (Jesse Eisenberg del Queens, origini ebraiche, diventato famoso interpretando Zuckerberg di quel social network là) col physique du rôle perfetto per essere l’alter ego di chi è nato Allan Stewart Königsberg nella “Grande Mela” proprio negli anni di questo racconto, incontra Vonnie.
Quando incontri certe persone, cambiano le regole del gioco.
La teoria, finché sei affacciato alla finestra dei vent’anni è divertente. Pure se scalpiti, sai che c’è un’infinita serie di possibilità da giocarti. E’ un mazzo di carte intonso.
Ma quando scendi le scale di casa per immetterti in quel mondo che hai visto per tutta l’adolescenza da una prospettiva relativamente lontana, è un altro fatto. Tuo cognato direbbe che “le alternative si escludono”. Non si sbaglia affatto. Funziona come quando giochi a scacchi.
Allora scopri(rai) posti in cui ti danno il caffè non appena ti siedi, del resto “se chiedi educatamente la gente ti dà retta” (magari sulle note di Count Basie).
Però uno zio che t’inventa un lavoro, un fratello che manda un pò di soldi, e una segretaria molto carina con una laurea in letteratura inglese a fare da guida, aiutano molto il viatico.
Steve Carrell in un ruolo finalmente brillante, Kristen Stewart a incarnare con voce roca e sguardi persi, l’ambiguità di un certo universo femminile, Blake Lively, Parker Posey e soprattutto gli strepitosi Jeannie Berlin, Ken Stott e Corey Stoll (la famiglia da urlo, rispettivamente mamma, papà e fratello del protagonista), costituiscono un cast di grande livello.
Impreziosito dalla fotografia di Vittorio Storaro per questa prima digitale del commediografo quattro volte premio Oscar.
Si può essere romantici scherzando se stessi. A patto di dosare l’ironia sentimentale. Diventa necessario se viaggi a ritroso dentro i tuoi ricordi. Persino in quelli che non ti appartengono. “I desideri non invecchiano quasi mai con l’età” direbbe un immenso cantautore siciliano. E sono troppe le vite che non abbiamo vissuto e non vivremo.
“I sogni sono sogni”.
Ecco il motivo dei motel dal nome esotico quanto i locali di tendenza. Del Taj Mahal e delle ville hollywoodiane. Sarebbe stato bello andare a vedere “La signora in rosso” con Barbara Stanwyck in compagnia di una ragazza che ti piace tanto. E portarla a sentire jazz alle due del mattino, o a giocare a dadi in qualche bettola.
Gli intellettuali comunisti, gli sceneggiatori sconosciuti, l’impronta di Gloria Swanson, le case a due passi dall’Oceano, l’amore non ricambiato, le lettere di Rodolfo Valentino, gli anniversari di carta, le amicizie tramutate in passioni amorose, il Greenwich Village dove abitano i poeti e i pittori, sta(ra)nno sempre lì.
Per bere vino a Central Park, cambiare credo a favore di un aldilà più a buon mercato (“abbiamo tutti paura di schiattare”), spargere ceneri davanti a un casino che spaccia lezioni di francese, non servono salti temporali. Basta vivere. Considerando almeno “l’implacabilità del tempo”.
Avrà pure ragione Socrate, che esaminava a fondo. E non avranno tutti i torti nemmeno quelli che accolgono e celebrano l’esistenza per la mancanza profonda e superficiale assieme di significato.
Ma i consigli delle mamme, si sa, sono sempre i migliori.
“Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo e un giorno ci azzeccherai.”