“Il cinema non è per un’élite, ma per le masse. Parlare ad un’élite di intellettuali è come non parlare a nessuno. Non credo si possa fare una rivoluzione col cinema. Io credo in un processo dialettico che debba cominciare tra le grandi masse, attraverso i film e ogni altro mezzo possibile.”
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ueste parole sono di Elio Petri. Regista, sceneggiatore, giornalista, critico cinematografico. Premio Oscar per il miglior film straniero nel 1971. Amico di Leonardo Sciascia e di due mostri (davvero) sacri come Gian Maria Volontè e Marcello Mastroianni, da lui più volte diretti.Rappresentano la visione della cultura di un intellettuale di sostanza.
Per chi ha un’estrazione popolare come la mia, significano tanto. L’accesso all’arte in senso lato mi ha permesso di essere la persona che sono. Di apprezzare la sensibilità di chi ho di fronte.
I film, dunque, per me sono molto importanti. Come le parole. Il titolo di questo libro non è solo un omaggio a Nanni Moretti.
L’anno scorso, grazie a Classi, la casa editrice che pubblica le pagine che avete fra le mani, ho potuto parlare di cinema indipendente all’Università di Salerno. (1)
Ai giovani studenti venuti ad ascoltarmi, ho consigliato di non farsi fregare da quelli della mia età. Di non credere a uno schema precostituito.
Perché l’indipendenza è un concetto serio. Liberi non si nasce, si diventa. L’arte di cui sopra, pure la settima, assume un ruolo di enorme rilievo.
Io non so dire se il cinema “è fatto per consolarci perché siamo tutti soli” come sostiene Paolo Sorrentino. (2) Penso semplicemente che al pari della musica, è parte della vita che va presa a morsi.
E quando dico “Cinema”, inevitabilmente, mi riferisco a quello ben fatto. Non necessariamente d’autore. Conta la sincerità.
Nel programma in radio che conduco su alcune emittenti, consiglio le nuove uscite in sala. Ciò che a mio giudizio merita una scorsa a dispetto di altro. Il tempo somiglia a una partita a scacchi. A volte bisogna fare delle scelte.
Allora, alcune storie in testa al box office nemmeno le considero. Una disamina assai più autorevole di quella che potrei dare io, chiarisce il concetto.
L’ha scritta Paolo Mereghetti qualche settimana fa, sul Corriere della Sera. Spiega quanto siano “fragili e sciatti una gran parte dei film recenti, tesi ad accontentarsi di un’ideuzza striminzita, buona forse per accalappiare l’attenzione del produttore di turno, per poi lasciare che tutto se ne vada nel più prevedibile e scontato dei modi.”
E continua chiudendo: “Certo, non tutti possono essere Godard ma un po’ più di ambizione, di orgoglio di sé e del proprio mestiere (non solo di registi e sceneggiatori, anche gli attori dovrebbero chiedersi cosa stanno interpretando, per non parlare dei produttori), un po’ più di idee e di fatica, forse aiuterebbe a migliorare il nostro cinema.” (3)
La qualità è indispensabile. Mortificarla con le banalità assume connotati grotteschi. Parafrasando Michael Corleone in un discreto capolavoro, lo spettatore ha il dovere di difendersi dalla furbizia di chi vuole insultare la sua intelligenza. (4)
Gianni Canova è stato ancor più diretto: “Il cinema italiano, a livello artistico, progettuale e creativo è il migliore del mondo. A livello produttivo e industriale andiamo invece meno bene perché siamo dei cialtroni. Non abbiamo ancora un’industria culturale degna di questo nome.” (5)
Archiviati i prestigiosi virgolettati, cos’altro posso mai aggiungere? Giusto un’esperienza personale, forse.
Due estati fa incontrai Enzo Moscato a Sorrento. Presentava un suo lavoro. Disse una cosa illuminante: “Esistono librerie piene di non libri, e teatri pieni di non teatro. Anche per questo, bisogna lasciare e prendere. Non si può mangiare sempre, altrimenti si schiatta”.
Ascoltandolo pensai valesse lo stesso per il Cinema. Sono tanti i cinema pieni di non film.
Per questo scelgo.
Senza snobismo. Nè responsabilità del consiglio che mi arrogo. Facendo riferimento a tutto quel che mi ispira. Citando spudoratamente libri e dischi. Mi porteranno sulla coscienza Tarantino (un genio) e il mio gruppo musicale preferito degli ultimi anni in cui sono diventato un uomo. (6)
Sperando che questo piccolo saggio (dalla malsana velleità di crescere nel tempo) pieno di recensioni non consuete, funga da piccolo dizionario apocrifo. Per appassionati di storie.
Per tutti quelli che si sono innamorati e si innamoreranno di un frammento. Di un’immagine, di una sensazione. Di una fotografia, di un attore. Di una canzone. Di una nostalgia che non è la loro. Di un dolore che non è il proprio. Di un sentimento che magari crescerà. Ma non adesso.
Come è successo a me da ragazzino fino ad oggi. Con Steve McQueen e Vittorio Gassman, Tomas Milian e Jean Paul Belmondo. Otto e mezzo di Fellini e (quasi tutti) i film francesi. Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino. Ugo Tognazzi e Jack Nicholson. Toni Servillo e l’ultimo racconto che mi emozionerà.
Con amore
Francesco Della Calce
Torre Annunziata, Aprile 2017
(4) “Il padrino” (The Godfather – 1972) di Francis Ford Coppola