Toni Servillo, maschera del nostro tempo

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“Attore (s.m.). Venditore di emozioni già confezionate, che ci disprezza a causa dei nobili sentimenti di cui quotidianamente si nutre e che noi disprezziamo per la natura malsana della sua dieta.”

C

itare Ambrose Bierce“Il dizionario del diavolo”, per introdurre l’interprete del cinema italiano contemporaneo più  completo e versatile di questi anni, è ovviamente un divertissement. Una distrazione, direbbe Pascal.

Un tentativo (poco filosofico) di stemperare la stima smodata, la simpatia smaccata, che provo (al pari di molti) nei suoi confronti.

Il mestiere dell’attore è difficile da analizzare. Vittorio Gassman diceva che recitare “è una malattia mentale”. Perchè “un attore sano è un paradosso”. (1)

Da semplice appassionato, ho sempre creduto che il trucco c’entri poco. La faccia, le espressioni, i gesti, la voce, fanno le differenze. Poi, certamente, il lavoro. Seguito dall’esperienza, l’abnegazione e quant’altro.

Toni Servillo, autodidatta senza studi specifici, sarà pure arrivato tardi al successo (e probabilmente nemmeno gli importa), però la dirompenza con la quale è entrato sulla scena cinematografica, diventando immediatamente un riferimento per gli spettatori (e la critica), è davvero notevole. (2)

I quattro David di Donatello, i tre Nastri D’argento (più un quarto speciale) gli svariati altri prestigiosi premi quali i due European Film Awards, corredati dall’Oscar nel 2014 al film che l’ha visto mattatore unico, raccontano un percorso di vita.

E di quanto questa esistenza un pò puttana possa fregarci la meraviglia. Considerando che questa enorme figura, ad oggi, porti meno di trenta opere sulle spalle, di cui soltanto la metà da protagonista.

Nel 2000 (non propriamente un’era geologica fa) superati i quarant’anni, erano appena tre i lungometraggi girati (da gregario) per l’amico e sodale Mario Martone, col quale assieme ad Antonio Neiwiller aveva fondato i Teatri Uniti, di cui è ancora direttore artistico.

Uniti letteralmente. In unico laboratorio permanente che integrò Falso Movimento, il Teatro dei Mutamenti e il Teatro Studio di Caserta. Avevano caratterizzato il panorama teatrale italiano ed internazionale degli anni ’70 intrecciando in maniera innovativa il linguaggio teatrale con quello del cinema, della musica, delle arti visive in genere.

Nel 2001, intanto, la svolta. Al netto di “Luna rossa” col personaggio di Amerigo, regalatogli da Capuano, tra Eschilo e malavita, arriva Paolo Sorrentino.

“L’uomo in più”, presentato in concorso nella sezione Cinema del Presente a Venezia, dimostra quanto i grandi artisti necessitino di copioni all’altezza. Di autori che sappiano cogliere le sfumature di chi hanno davanti.

E’ la prima, meritata, storia da primadonna. Ci sarebbe anche il bravissimo Andrea Renzi. Ma Pisapia, non a caso si chiama Tony. Nasce un binomio straordinario. Dura ancora adesso.

Scomodare Fellini e Mastroianni è consentito. “La grande bellezza”, dopo “Le conseguenze dell’amore” e “Il divo”, diventa il naturale approdo di un discorso che fortunatamente continuerà.

Napoletano di Afragola, cresciuto a Caserta dove tuttora vive, è quel tipo di campano che riesce a prendere e a far proprie le contraddizioni del posto nativo. Il sorriso, amaro e scugnizzo allo stesso momento, racchiude tutta la consapevolezza disincantata di chi la sua terra la vive davvero. E soprattutto l’ha vissuta.

Al teatro (il primo amore) porta sovente in scena (dirigendo e interpretando) Eduardo, il drammaturgo amico di Pirandello. Non disdegna Goldoni, il grande teatro francese. E la lirica. Con grande successo di pubblico e stampa.

E’ passato attraverso i silenzi di Titta Di Girolamo e la disillusione del viveur Jep Gambardella. Però ci stanno tante, altre, straordinarie e svariate facce diverse.

Il maestro Falasco, ad esempio. Che introduce il compianto Fausto Mesolella alla musica (attraverso metafore geografiche inarrivabili) in “Lascia perdere, Johnny!”.

Oppure commissari disillusi insediati in Friuli. Imprenditori senza scrupoli. Guappi d’antan nel Centro Direzionale di Napoli. Padri di famiglie allucinate a Palermo. Ragionieri di multinazionali fraudolente.

Persino un doppio ruolo di gemelli da far impallidire Plauto. Ancora un monaco certosino, un vis-à-vis con Jean Reno in un non memorabile esordio del romanziere Donato CarrisiGiulio Andreotti, Silvio Berlusconi, e Giuseppe Mazzini.

Interpretazioni, queste ultime, che devono qualcosa alla maschera. Non il contrario. Succedeva solo con Gian Maria Volontè. Riferimento reale, e niente affatto distante. (3)

Aznavour, di certi fuoriclasse che niente in comune hanno col resto del mondo, cantava così: “Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me, nel teatro che vuoidove un altro cadrà, io mi surclasserò”.

Il cantautore francese, di origini armene, la sapeva lunga. “Solo la scena” poteva dare “la giusta dimensione” di un fuoriclasse.

Le sigarette sbilanciate, per le quali ti faresti arrestare persino da commissario, i bluff condotti fino in fondo, i banconi pericolosi ai quali sedersi, l’odore delle case dei vecchi preferito alla fessa (sensibilità, permettendo), il paradosso del mentitore di Epimenide, i camorristi che all’estero cucinano bene, Alberto Lupo che si schiattava di risate, diventano sfumature di chi  rivede sovente le immagini imprimendole negli occhi.

Facendole sue. Succede solo con i grandi.

Non resta che godere, allora, dell’opportunità che il destino ci rende. Noi siamo spettatori del tempo che viviamo. E’ successo. Non sappiamo quando succederà di nuovo.

Toni è la maschera del nostro tempo, bisogna approfittarne. Una conterranea “misteriosa” la farebbe semplice.

“Persa un’occasione non se ne danno altre. Se non c’ è due senza tre, c’è uno senza due”. (4)

 

(1) “Le voci del teatro: Interviste ai grandi della scena” (2014) – Claudio Capitini 

(2) “So bene a cosa ho rinunciato per arrivare fin qui” di Andrea Cavezzali | 16 Giugno 2014 – Il Fatto Quotidiano

(3) Caro maestro, Servillo ricorda Volonté: ‘Un esempio di moralità’ di Sara Chiappori | 9 Aprile 2009 – La Repubblica

(4) “I giorni dell’abbandono” (Edizioni e/o, 2002) – Elena Ferrante

 

 

 

 

 

 

 

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