“Santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini. Dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia. La volontà è spezzata dalla repressione. La libertà è assassinata dall’egoismo.”
Il sacrificio del cervo sacro
(di Yorgos Lanthimos, GB/IRL/USA 2017)
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M
arlon Brando non chiese soltanto il burro alla Schneider. Mentre le abbassava le mutandine, costringendola al pavimento, svelò una metafora sulle condizioni che ci aspettavano nei decenni a venire. Persa completamente tra censure e finti pudori perbenisti. (1)Yorgos Lanthimos (Γιώργος Λάνθιμος, nato proprio nel periodo del controverso film di Bertolucci), dopo il meritato successo di “The Lobster”, ci mette di nuovo a pensare. La vita che conduciamo può cristallizzarsi. Nelle pieghe dei formalismi. Nell’ordine compulsivo che avvicina inevitabilmente alla morte.
Non è un caso che il protagonista (Colin Farrell, sempre misurato col regista ateniese) sia un cardiologo. Nell’antichità classica il cuore era ritenuto la sede della memoria. Il verbo ricordare ha un’etimologia certa al riguardo.
Il minuto di buio iniziale sulle note dello “Stabat Mater” di Schubert non è un omaggio a Kubrick come la musica di György Ligeti o le inquadrature rievocanti “Shining” e “Eyes Wide Shut”.
E’ una presa di coscienza di ciò che siamo. Del nostro vivere senza consapevolezza.
“Dire da dove vengo, chi sono, dove vado, è al di sopra delle mie idee; tuttavia esisto. Sono l’orologio che esiste, ma non ha coscienza di sé”. Le licenze del conte de Las Cases su Napoleone rimangono una risorsa preziosa. (2)
Tanto, nessuno è innocente. Tutti abbiamo segreti fin dall’infanzia. Le limonate fatte in casa, i cinturini di metallo, i lettori mp3, il pattern con le tende combinate ai salotti buoni, nascondono appena la superficie delle apparenze.
L’inquietudine adolescenziale, del resto, non si perde negli anni. Scava nel profondo mettendosi all’interno di una nicchia. Diventa una pausa col silenziatore. Riapparirà nel futuro remoto. Ricordandoci l’obsolescenza programmata del corpo che ci avvolge.
“Cause we got the fire. And we gonna let it burn”. Perchè abbiamo il fuoco (dentro), e lo lasceremo bruciare. Ellie Goulding, cantata dalla giovane (e intensa) attrice inglese Raffey Cassidy, si nobilita più di quanto non potrebbe mai.
“Avevi bevuto quel giorno?” La Kidman (perfetta, come sovente le capita), se vuole, è più fredda del bisturi che maneggi per mestiere. La differenza sta tutta nel confine tra rabbia e dispiacere. Capire perchè devi pagare tu il prezzo di una colpa altrui non è per niente semplice.
Persino se scopri che non sei l’unico a mangiare gli spaghetti in quel modo. Ci sono situazioni che vanno soltanto vicine al concetto di giustizia. Conta ristabilire l’equilibrio.
Martin (Barry Keoghan, rivelazione tormentata) sembra l’ospite pasoliniano di “Teorema”. La sua indisponenza fa tenerezza.
Probabilmente esisterà pure una subornazione da scaricare sull’alcool. La legge, quando crede, pare sensibile all’argomento. Ma la morale? Vai a capire se puoi fidarti degli anestesisti o dei chirurghi. Haneke e Polanski l’hanno raccontata già. Qui, però, c’è rigore ellenico. La corda del parossismo è tesa da un immenso talento visionario.
Le masturbazioni a buon mercato, allora, non scaricano tensioni. Nemmeno se possiedi delle mani splendide. Anzi. Sono un placebo abbastanza triste. Come le avances della Silverstone, imbolsita sul salotto, durante il sortilegio nel “Giorno della Marmotta” di Bill Pullman con la MacDowell.
La sceneggiatura premiata col Prix du scénario a Cannes (a quattro mani col sottile Efthymis Filippou) lavora di sottrazione. (3) Non spiega tutto. Forse delude un filo le aspettative riposte nel climax crescente da thriller paranormale. La fotografia di Thimios Batakatis, comunque, completa con la consueta meraviglia delle immagini. Allo Sitges hanno apprezzato, in ogni caso. Il premio della critica mente di rado. (4)
Il sacrificio di Ifigenia, invece (richiamato nel titolo italiano) non prelude a interventi divini. Il cerbiatto sanguina dagli occhi (Lucio Fulci, prega per noi) quanto il talentuoso, piccolo, Sunny Suljic che crolla dopo le scale mobili (godendo di un’inquadratura meravigliosa). La goffa roulette russa per questo colpirà al centro.
Sopra ai divani domestici dove si consuma l’orrore quotidiano.
L’ineludibile destino delle tragedie greche trova contemporaneità persino in una tavola calda. Nel cinismo dei tempi precari di sentimento. Dove non siamo al sicuro nemmeno da soli.
E’ con noi stessi che dobbiamo fare i conti. Uscendo dalla claustrofobia dei labirinti autoinflitti.
Quell’autore del chiacchierato “Ultimo Tango a Parigi”, pochi mesi prima, aveva diretto una storia talmente vera e surreale da somigliare a questo lungometraggio. E alla mitologia dei destini beffardi.
Era tratto da un romanzo di Moravia. Scrittore raffinato. Vedeva la normalità alla stregua di un peccato originale, impossibile da espiare. Un uomo, in fondo, non è mai innocente.
A un certo punto della trama, per bocca del protagonista (interpretato dal mostro sacro, Jean-Louis Trintignant) diceva: “Voglio che il perdono me lo dia la società. Mi confesso oggi per la colpa che commetterò domani.
E’ il sangue che lava il sangue. Il prezzo che mi chiederà la società, io lo pagherò”. (5)
(1) “Ultimo tango a Parigi” (1972) – Bernardo Bertolucci
(2) “Il Memoriale di Sant’Elena” (1822-1823) – Emmanuel de Las Cases
(3) Prix du meilleur scénario – Festival de Cannes 2018
(4) Premio de la crítica José Luis Guarner – Sitges 2017
(5) “Il conformista” (1970) – Bernardo Bertolucci
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2 Responses
Marianna Cotone
Luglio 18, 2018…e sia, me lo cerco e me lo vado a vedere, la tua visione miu ha fatto cambiare idea, così dopo potrò fare il confronto tra ciò che dice Hillman, quando parla della vana fug dagli idee nel suo testo che si intitola proprio così e cercare di capire ancora una volta se questo è vero…
A proposito di titoli, qual’è quello originale?
francescodellacalce
Luglio 18, 2018Marianna, intanto grazie per le tue parole. Mi lusingano più di quanto meriti davvero. Il riferimento (di così fine fattura) a cotanto filosofo mi fa sentire piccino piccino. p.s. “The Killing of a Sacred Deer”.