“I decenni volano, sono certi pomeriggi che non passano mai”.
E’
una primavera che non sboccia. Ho tolto il cappotto. In treno mi dava caldo. Adesso che inforco la Vicarìa lo rimetto, però.Costeggio il Centro Direzionale. Il vento entra nelle ossa. Quasi le undici di mattina. Maggio è solo un mese del calendario.
C’è un tempo atmosferico buono a gestire i panni appesi ai balconi. Poi ce n’è un altro. Scandisce la vita.
Un saggista italiano una volta ha pronunciato le parole dell’esergo che sto usando. Si riferiva al periodo di detenzione che lo riguardava. (1)
A Poggioreale non ci sono entrato. Il quartiere lo conosco bene. Potrei descriverlo bendato. Ma nella casa circondariale mai. Nemmeno per sbaglio.
Oggi lo faccio. Il fatto è serio. Mi hanno chiamato a raccontare una giornata speciale. Di solito parlo di Cinema. “Perez.” di De Angelis e “Gorbaciof” di Incerti sarebbero un ideale (s)punto di partenza.
Invece sto qui. Per ascoltare e riportare una lezione sulla Costituzione e il Carcere. Onda lunga dello Stage obbligatorio di Diritto penitenziario e Giurisdizione di sorveglianza del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.
Mena Minafra, referente del progetto “Guardami oltre”, attivato nell’ambito del tirocinio formativo suddetto, è l’anima di questo progetto. Ci crede assai. Se giocassimo a pallone indosserebbe la fascia di capitano.
Ha portato una settantina di corsisti, i suoi studenti. Facce belle vispe. Sanno di futuro alle porte. Le mescola con affetto nel salone enorme del padiglione che ci ospita. Siamo nella cappella religiosa posta all’interno.
Arrivano centocinquanta detenuti. “Scendono”, secondo il gergo del posto. Volti vissuti. Veraci. Consumati.
Samuele Ciambriello, il loro Garante regionale, apre brandendo la Costituzione. Onestamente. Sopra le righe. Quelli che sanno d’avere ragione, sovente, fanno così. Passione meridionale. Sembra uscita da una storia di Francesco Rosi.
Ricorda dal palco l’art. 27. “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Sottolinea la veridicità parziale del contenuto normativo. Raggiungere l’ambizione dell’assunto necessita una gestione oculata. Un’interpretazione.
Mena, in fondo, l’ha scritto a favore di pubblico: “Carcere è l’anagramma di cercare”.
Perchè il primo passo di quest’incontro è avvolto da tanta composta partecipazione.
La presenza del Professore Mariano Menna (titolare dello Stage), dei Magistrati Monica Amirante, Filomena Capasso, Marta Correggia, Vincenzo D’Onofrio, degli Avvocati come Adolfo Russo (Presidente del COA di S. Maria C. V.), Rossella Gravina e Maria Lampitella, di Associazioni presenti attivamente sul territorio come l’Ass. Mitreo Film Festival guidata da Paola Mattucci, delle Istituzioni comprendenti l’autorevole figura del Prefetto di Caserta, Raffaele Ruberto, del Provveditore campano dell’Amministrazione Penitenziaria, Giuseppe Martone,
Serve a ricordarci la portata della “rivoluzione” costituzionale.
Che non s’accontenta di “buoni cittadini” in aiuto dei “cattivi”, utile a un possibile reinserimento sociale. Chiede una mano concreta per quelli che da soli non ce la possono fare.
La società è nostra. Il bisogno dell’apporto di tutti, consequenziale. I costituenti, forse, miravano al bersaglio pieno.
Questo messaggio viene affidato a due artisti di cuore e mestiere. Pietro Bontempo che recita divinamente “De Pretore Vincenzo” di Eduardo.
E Marco Zurzolo, sax generoso e geniale. Fa musica che abbraccia letteralmente. Col sorriso scugnizzo accoglie mani desiderose di quotidianità al momento perduta.
Del resto Tony Curtis in un cult ci ha conquistato Marilyn con quello strumento di ottone. (2)
Lui, invece, accompagnato dal virtuosismo di Marco De Tilla e Alessandro Tedesco (rispettivamente al contrabbasso e alla tromba) suona Pino Daniele, classici di Libero Bovio, canzoni del Festival ante-Piedigrotta. Omaggia il fratello Rino e la Madonna dell’Arco.
Il tutto sotto lo sguardo attento e discreto di Maria Luisa Palma. Direttrice (di polso e garbo) della struttura intitolata a Giuseppe Salvia, uno che ha dato la vita per (ri)affermare il potere dello Stato.
Le foto di Giovanni Izzo stanno là a documentare la magia. Qualcuno l’ha definito “un fotografo di una guerra non dichiarata che ha posato lo sguardo sulla bellezza”. Aggiunge carnale pudore agli scatti dipinti. (3)
Nel cortile il commiato è affidato alla pizza a portafoglio di Nanà. Sopra l’Apecar che qui nello 081 è semplicemente “‘o trerrote”. All’ombra del Vesuvio, si sa, persino le pizzerie sono Cassazione.
Ma i lividi della strada stanno in agguato. E fanno male. Ci ricordano l’impotenza di essere massa. A pochi metri rasentiamo sulla pelle il raid di camorra di Piazza Nazionale. Lo grideranno tutti i tg. Inevitabilmente.
Hai voglia a pigliartela con fiction e scrittori. Malaparte direbbe “che hanno vinto le mosche”. (4)
Il pensiero corre a chi ho lasciato per strada da poco. Napoli (e la Campania) è ciò che ho appena salutato. Non l’ennesima cartolina atroce che mi sta riportando la folla concitata.
Pure i figli dei boss pare si siano stancati. Gli occhi chiari di Antonio Piccirillo invitano a una speranza tutt’altro che retorica. (5)
Noemi merita di vivere. Punto. Il patto è che la aspetti una città diversa. Migliore.
Farsi fregare dalla paura a che serve se sfiori la morte ai tavolini di un caffè?
Un’ora d’aria occorre, dunque. Fa respirare ognuno di noi. Ne percepisco ancora meglio il sentimento, adesso.
Bisogna resistere. Per esistere.
© Giovanni Izzo photo
(1) “Le prigioni degli altri” – Adriano Sofri (Sellerio, 1993) / Il Foglio (01/08/1998)
(2) “A qualcuno piace caldo” (‘Some Like It Hot’, 1959) – Billy Wilder
(3) “Matres – Le donne dell’esodo” (TSTV Benevento, 27/04/2019)
(4) “Kaputt” – Curzio Malaparte (Adelphi, 1944)