“Ecco uno dei sogni più frequenti che faccio: mi guardo allo specchio e nello specchio non c’è niente.”
Tre piani
(di Nanni Moretti, Ita 2020)
***
L
a prima volta che Moretti fece l’attore protagonista, senza autodirigersi, interpretò un politico spregevole. Ma affascinante. Come un Vampiro.Vinse persino il David di Donatello. (1)
“Tre piani” è tenebroso così. Anzi, a dirla tutta è quasi una sentenza. Si resta in tema col racconto tratto dal romanzo di Eshkol Nevo. Il libro raffigura un’altalena basculante in copertina. Di quelle che a farla andare serve che uno stia da un verso e l’altro da quello opposto.
Sopra ci stanno un padre e una figlia.
“Come mi disse una volta lo scrittore israeliano Yehoshua, la famiglia è un’ossessione tutta italiana, così come la terra lo è per Israele o il denaro per gli Stati Uniti. La famiglia è un microcosmo che aiuta a raccontare un paese intero”. (2)
Forse ha ragione Lucchetti, “aiuto” in “Bianca” e Regista de “Il Portaborse”, sopracitato.
Anche questa storia parte da Israele. Parla di pulsioni e istinti che risiedono al primo piano di una palazzina. L’“Io” a conciliare i desideri con la realtà al secondo. Il “Super-Io” al terzo. Più in alto. A richiamare all’ordine. Con severità.
Però Freud non era italiano. E non abitava a Prati, nel cuore di Roma.
Moretti è un intellettuale. Come Woody Allen, Ingmar Bergman, Stanley Kubrick. Va ringraziato a prescindere. Sempre. Non deve spiegarsi. Pazienza se, a questo giro, la maggior parte dei giornalisti della carta stampata si è sentita di stroncarlo.
Parlando di “tonfo” (Niola su Wired). Demolendo il lungometraggio quale “stucchevolmente indigesto, banalmente lugubre” (Turrini su Il Fatto Quotidiano). Definendolo “il più brutto” della sua filmografia (Prisco su Il Sole 24 Ore). (3) (4) (5)
Certo, ai detrattori, va ricordato che Cannes non ti regala 11 minuti di applausi a fine visione. (6) (7)
Che Morandini non ti concede la copertina del “Dizionario”, dichiarandoti film della stagione con 4 stelle, sulla stima. (8) (9)
Che Mereghetti, a suggello, ha definito l’insieme “uno splendido affresco borghese”. (10)
Allora qual è la verità?
Il “Leone di Monteverde” non è un autore prolifico. Nell’ultimo periodo (dal 2011 con “Habemus Papam”) ha semplicemente adottato un “cambio”di cifra nel solco del suo linguaggio. Non c’entrano sceneggiature o direttori di fotografia.
C’entra il tempo. Che passa ogni cinque anni. Il lustro che intercorre nella sua filmografia, grosso modo. E, guarda caso, nelle vicende degli inquilini del condominio capitolino.
Poi, bisogna ammetterlo. Chi meglio di Nanni poteva spiegarci cos’è il “Borghesistan”?
La pandemia era già dentro di noi. Dentro alle incongruenze delle famiglie. Agli incastri accennati. Alle delusioni nascoste dai sorrisi tirati. Alle mancanze. Alle bugie. Alle piccole ipocrisie di convenienza.
“A mentire non ho mai avuto problemi. Succede a crescere con un padre che ti dice: questo è meglio non raccontarlo alla mamma. E con una madre che ti dice: questo è meglio non raccontarlo al papà.” (11)
Decenni buttati appresso a Marlon Brando, il burro, la Schneider e la presunta sodomia. Mentre bisognerebbe prestare attenzione alle parole. Quelle si, sono davvero importanti.
E ai dettagli.
“Renato è guasto”, oppure no? Le videochiamate dal lavoro mettono malinconia. La palestra fatta a comando. “Chi ci verrà a vivere nella nostra casa?”. I litigi stupidi. I regali che andrebbero scartati subito, mai riportati indietro. L’amore goffo e consapevole. “Il gelato buonissimo mandorle e pistacchio di Antonioli”. L’arredamento del Caffè Valentini che non ti piace. I fatti che non sussistono. “Dopo questa giornata mi è venuta voglia di bussare alle porte di tutti”.
Ce la fai a respirare in una società così ingolfata? Col freno a mano abbassato. Devi crescerci conformandoti? Condividerne i lividi che non sono tuoi? E aspettare dieci anni per dire: “Ero innamorata di te. Da sempre. Aspettavo le vacanze per venire a Roma e vederti”.
Chissà cosa siamo stati nelle vite precedenti? Cosa abbiamo combinato per rintanarci in questo guscio. Ha ragione la tagline del trailer. Quest’opera è un invito ad aprirci al mondo.
Ad abbracciarci come nella locandina.
A usare la vasca da bagno. A rispondere presto ai messaggi. A non essere arrabbiati.
A chiedere scusa.
In maniera onesta, sincera, autentica. Cogliendo il momento. Senza che diventi tardi. A dire la verità.
“Non vedo l’ora che parta. – Non è vero”.
L’unica maniera per tornare a dare un senso a tutto. Al miele, alla segreteria telefonica, ai fiori, agli armadi da dismettere. La vita succede e devi farla succedere.
Il cast regge con mestiere tutto il percorso. Scamarcio, la Buy e la Rohrwacher fanno il loro al meglio. A Tommaso Ragno e a Stefano Dionisi bastano cinque minuti. Sembrano quei calciatori di talento che cambiano la partita entrando dalla panchina. Bravissimi pure i due “ragazzi”, Denise Tantucci e Alessandro Sperduti.
Finale felliniano dice qualcuno. I più giovani invocano persino Ozpetek.
In realtà col rispetto dovuto al “Tango illegale” siamo dalle parti di un’autocitazione di sostanza.
Il ballo conclusivo (e catartico) de “La messa è finita”. Sulle note di “Ritornerai” di Lauzi.
Una poetessa dimenticata, ai sorrisi inquieti degli inquilini diventati nucleo, suggerirebbe che “tutti viviamo di stelle spente”. Abbiamo bisogno degli altri. Maledettamente.
Perchè “moriremo lontani.
Sarà molto se poserò la guancia nel tuo palmo a Capodanno; se nel mio la traccia contemplerai di un’altra migrazione.
Dell’anima ben poco sappiamo.” (13)
(2) “Daniele Lucchetti: la famiglia ossessione italiana.” – Cinecittà News/Cristina Paternò
(3) ” Tre piani è il primo vero tonfo nella carriera di Moretti” – Wired/Gabriele Niola
(6) “Cannes, ovazione per Nanni Moretti: 11 minuti di applausi.” – Corriere della Sera
(9) “Tre piani di Moretti film della stagione per Morandini” – Ansa
(11) “Tre piani” (2015) – Eshkol Nevo
(12) “Ultimo tango a Parigi” (1972) – Bernardo Bertolucci
(13) “La Tigre assenza” (1991) – Cristina Campo