Pino Daniele Alive – Il Museo Permanente

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Peggio pe’ chi sti panne l’ha stracciate, sapenno ca chi straccia nu vestito ca nun l’ha pavato, è sempe uno ca straccia ‘a rrobb’e ll’ate!

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ino Daniele (assieme a Massimo Troisi) rappresenta l’ultimo riferimento di una napoletanità asciutta e carnale.

La scoperta, a metà degli anni ’90, dei Teatri Uniti (coi suoi interpreti) e degli Scrittori di fama quali Erri De Luca, Starnone, la Ferrante e Fabrizia Ramondino, la dobbiamo soprattutto a quelli come lui.

Sorrentino o Pietro Marcello fa uguale. Anche i Co’Sang, per dire, “esistono” grazie a “Je so’ pazzo”.

Eduardo, sopracitato è dunque un padre artistico. Diretto. Per nulla putativo. (1)

Ecco perchè quando Cristina Daniele mi ha accolto al Pino Daniele Alive, all’interno del Museo della Pace, mi è sembrato di stare subito in famiglia.

Mi è parso di salire a casa sua. Che poi è quella del più grande Cantautore contemporaneo nato sotto al Vesuvio.

Ci stanno le chitarre. Bellissime. Ci sono i Dischi. Tutti. Di quando si vendevano davvero. Il “platino” stava a rimarcarlo. L’oro non era abbastanza.

Ho ritrovato “L’uomo in blues” dell’adolescenza liceale. Il mio primo LP. In barba alle mode, oggi. E ai CD appena usciti, allora.

Nelle stanze, tra cuffie, ricordi e musica che scorre in sottofondo, appare ricostruito persino lo studio di registrazione. Con impianti, microfoni e strumenti originali.

Assieme al Basso di quel genio chiamato Rino Zurzolo. Che faceva parte della Superband, immortalata da Cesare Monti sul vinile di “Vai mo'”.

Cristina e Alex (l’altro figlio, ideatore con lei di questo atollo e della Fondazione Pino Daniele) hanno conservato l’identità paterna. È cosi evidente che il loro pudore diventa mio.

Scorgo i biscotti con la punta di cioccolato di cui era ghiotto il papà. La kefiah di “Ferryboat”.

La moka del caffè, il tè preferito. Le scalette scritte col pennarello. I regali del 19 Marzo  da onorare due volte. Per l’onomastico e il compleanno.

Il Diploma di Maturità Tecnica (voto 44/60) preso al Diaz (che  doverosamente gli ha intitolato un’aula).

O il telegramma dell’Alitalia con la convocazione a fare l’Assistente di volo, seguito dal Certificato (provvisorio) di agibilità (tra Luglio e Agosto del ’78) rilasciato dall’ENPALS per suonare. (2)

Si, ogni stanza è uno scrigno.

I nomi evocano già il sentimento: “Tracce di libertà”, “La Grande Madre”, “Sona mo'”, “I got the Blues”.

A un certo punto, nessuno mi vede, faccio un inchino alla gigantografia dell’ingresso. Senza scuorno: che onore stare qui. Poter conoscere un pezzo di te.

Venirti a trovare nel cuore della tua città.

Aveva ragione Luca De Filippo da Minà quella sera che vi scambiavate i complimenti: hai “sparigliato“.

Riuscendo a avere un “linguaggio di tradizione”. Che proviene dalla tua vita, dalla tua infanzia, dalle cose che hanno ascoltato le tue orecchie”

Quando imitiamo a palla (con affetto smisurato) il tuo cantato, l’inglese maccheronico, il dialetto smozzicato, strascicato, forse ci viene il sorriso meraviglioso che tenevi tu.

Inconfondibile quanto la tua voce.

E’ il 2022“Napule è” fa il commiato a “È stata la mano di Dio” nel walkman di Filippo Scotti.

Non poteva essere altrimenti.

 

(1) Eduardo De Filippo, ‘O penziero. E altre poesie di Eduardo, Einaudi, 1985

(2) “Intitolata a Pino Daniele un’aula dell’istituto di ragioneria in cui si diplomò: il Diaz” (Il Mattino, 2016)

(3) “Storie” (1996/1998) – Gianni Minà

 

© Mia Di Domenico photo

 

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